Ph: Rachel Claire
Sappiamo ormai tutti che il mondo si sta riscaldando a un ritmo che risulta più veloce che in qualsiasi altro momento della storia che abbiamo potuto registrare. Questo cambiamento del clima sta modificando in maniera già misurabile i maggiori determinanti della salute, come la qualità dell’aria, dell’acqua, la sicurezza alimentare, l’alloggio, l’economia, l’accesso all’assistenza sanitaria e altro ancora. Si tratta tuttavia di modifiche su scala planetaria, che hanno tempi scala tali da essere percepiti, ad una valutazione superficiale e non basata sulle conoscenze scientifiche disponibili, come sufficientemente lunghi da consentire una relativa adattabilità da parte dell’uomo e delle sue politiche.
Certo, abbiamo anche imparato che il cambiamento climatico può portare ad eventi naturali localmente improvvisi e potenzialmente devastanti. Alluvioni, incendi, siccità, uragani, ondate di calore, ondate di gelo e altri fenomeni sono sempre più documentati. Ma coinvolgono aree limitate del pianeta e sembrano perciò lontane o comunque eccezionali e quindi non realmente minacciose.
L’esperienza della pandemia da CoViD-19 ci ha però offerto uno scenario inatteso, almeno per chi non si occupava di epidemiologia delle malattie infettive. Il cambiamento climatico non ha solamente effetti che sono o globalmente importanti ma lenti e quindi prevedibili o localmente intensi ma eccezionali e quindi limitati. Questa pandemia è stata tanto repentina quanto globale, tanto inattesa quanto intensa. Ha sovvertito l’ordine mondiale in pochissimi mesi. Ha causato, in via diretta, circa 7 milioni di morti in tre anni.
È in realtà da molti anni che epidemiologi e infettivologi affermavano l’inevitabilità di una pandemia dalle conseguenze pesantissime e che i cambiamenti climatici in atto stavano accelerando la velocità con la quale ci stavamo avvicinando a una tale evenienza. Ora l’abbiamo sperimentata e sappiamo che inevitabilmente ne sperimenteremo di nuove nel prossimo futuro. Sarebbe completamente insensato non cogliere, da questa drammatica esperienza, almeno qualche insegnamento utile.
Alcuni insegnamenti sono di carattere scientifico, se non addirittura tecnico, come lo studio preventivo della potenziale pericolosità dei patogeni (trasmissibilità, virulenza, mutabilità), o lo sviluppo di soluzioni per la produzione di trattamenti e dispositivi medici in tempi rapidi (test diagnostici, terapie, vaccini). Altri insegnamenti sono di natura organizzativa, come la predisposizione di infrastrutture agili per la ricerca (esecuzione di studi, raccolta e analisi di dati), o il potenziamento di alcuni settori critici per l’assistenza sanitaria, come la medicina intensiva e la medicina d’urgenza. Altri insegnamenti sono di natura politica, come la riduzione delle disparità nei determinanti della salute a livello globale e locale, o la gestione delle relazioni uomo-animali. Altri ancora sono insegnamenti prettamente culturali, come la necessità di condividere le informazioni scientifiche e organizzative, la revisione della comunicazione pubblica, o la necessità di rivedere i criteri di accesso all’assistenza sanitaria in condizioni di reale carenza di risorse.
Se sapremo fare tesoro di tutti gli insegnamenti che l’esperienza della recente pandemia ci ha consegnato, potremo farci trovare un poco più preparati alla prossima, inevitabile, occasione.