Alopecia

Alopecia areata, alopecia permanente, alopecia fibrosante frontale e alopecia e psiche

TOPICS

In questi ultimi anni si sta sempre di più allargando l’interesse verso l’impatto sulla Qualità della Vita (QOL) dei pazienti da parte di malattie dermatologiche, anche non gravi per la salute fisica dell’organismo, ma che, essendo immediatamente visibili dall’esterno, modificano significativamente la vita di relazione. Fra queste malattie le alopecie (caduta dei capelli) sono fra le più studiate, in quanto sono un esempio di come una patologia che cambia solo l’aspetto esteriore del corpo, senza intaccarne la salute, può indurre un importante stress psicologico e ridurre significativamente la QOL. Un esempio tipico è l’alopecia indotta dai farmaci chemioterapici utilizzati per la cura del cancro: fra i vari effetti collaterali della chemioterapia, l'alopecia è considerata una delle esperienze più traumatizzanti e dolorosa per le donne con cancro al seno, spesso descritta più difficile di perdere i seni, tanto che alcune pazienti provano a rifiutare la chemioterapia per la paura della perdita di capelli [Choi et al., 2014]. Anche altri tipi di alopecia, fra cui le più frequenti alopecia areata (AA) e alopecia androgenetica (AGA) influenzano negativamente la qualità della vita, indicendo stress e sentimenti di inferiorità che portano a differenti strategie di “coping”, che includono l’uso di copricapi/parrucche, o comportamenti antisociali [Qi et al., 2015; Bilgiç et al., 2014; Han et al., 2012; Sawant et al., 2010]. Alcuni studi recenti dimostrano in modo consistente un’influenza significativa  della regolazione emozionale e del livello di educazione sulle strategie di coping del paziente con alopecia, così come emerge l’importanza della comunicazione col medico per gestire al meglio la malattia e le cure [Firooz et al., 2005]. Particolarmente critica appare la comprensione delle cause della malattia, soprattutto nei pazienti con AA, dove spesso prevalgono credenze popolari e idee scorrette che il paziente stesso presenta, identificando nello stress la causa primaria della caduta dei capelli.  Emerge quindi molto chiaramente come una gestione corretta dei pazienti con alopecia, dove il medico: 1. prende in considerazione le caratteristiche di personalità e il modo in cui il paziente gestisce le emozioni; 2. fornisce in modo chiaro le informazioni sulle cause della malattie e sui trattamenti, possa migliorarne il vissuto emotivo, influenzarne la QOL e, presumibilmente, migliorare l’aderenza al trattamento e la soddisfazione complessiva per le cure ricevute.

La regolazione emozionale e la qualità della vita dei pazienti con alopecia: studio osservazionale prospettico esplorativo

Il presente studio intende indagare l’impatto dell’alopecia sulla quality of life (QOL) dei pazienti, sia in condizioni di base, sia dopo che il medico ha fornito informazioni corrette riguardo a cause e terapie. Si intende in primo luogo esplorare come le variabili di personalità, la reattività emozionale, la suscettibilità allo stress e le credenze legate alla malattia e al suo decorso influenzino la percezione e la gestione dell’alopecia, concorrendo a determinare n ultima analisi la quality of life dei pazienti. Tenendo conto di queste caratteristiche di base, lo studio mira poi ad indagare gli effetti (positivi) della comunicazione tra medico e paziente sulla comprensione della malattia, l’accettazione della terapia, la collaborazione dimostrata, la soddisfazione percepita e le variabili QOL.

Registro nazionale dell’Alopecia Areata

L’obiettivo primario dello studio proposto è creare un archivio elettronico multicentrico della durata di 3 anni, di pazienti con diagnosi di alopecia areata.

L’archivio permetterà di valutare i dati epidemiologici dei pazienti affetti da alopecia areata raccogliendo informazioni dettagliate sul decorso della malattia, sulle malattie associate, sugli eventi concomitanti e precedenti, sulla risposta clinical ai trattamenti tradizionali. Permetterà inoltre di stimare l’impatto sulla qualità della vita dei pazienti. 

L’alopecia areata (AA) è una malattia autoimmune organo-specifica che colpisce i follicoli piliferi. Essa ha un decorso imprevedibile spesso gravato da recidive. La causa esatta della malattia non è nota, ma la ricerca ha dimostrato il ruolo fondamentale dell’auto-immunità. Fattori come infezioni, farmaci e vaccini sono stati registrati come potenziali fattori scatenanti, ma non sono stati condotti studi a lungo termine che li associ con totale certezza all’AA. La malattia è sostenuta da una risposta immunologica di tipo cellulo-mediato contro un antigene ancora sconosciuto del follicolo pilifero. Nell’AA, il follicolo perde il suo “privilegio immunologico” e viene attaccato dalle cellule del sistema immunitario. Nella fase iniziale, vi è un’immediata interruzione della fase anagen con frattura del pelo in crescita ed entrata in riposo del follicolo. I follicoli che si trovano nelle subfasi tardive dell’anagen, caratterizzate da un’elevata attività mitotica, vengono danneggiati in maniera più acuta, con frattura e caduta immediata del pelo. Le manifestazioni cliniche variano da individuo a individuo, da piccole chiazze di alopecia del cuoio capelluto alla perdita di tutti i peli del corpo, la cui gravità è valutata mediante il Severity of Alopecia Tool (SALT) e classificata secondo le linee guida della Fondazione Nazionale Alopecia Areata (1).

La prevalenza è stata stimata intorno allo 0,2% della popolazione generale e circa l’1,7-2,1% della popolazione presenta un episodio di AA durante il corso della vita (2). L’esordio può avvenire a qualsiasi età, tuttavia, nella maggior parte dei casi, è stimato entro i primi tre decenni di vita. Non c’è predilezione di razza o sesso. Gli studi condotti hanno rilevato considerevoli differenze nelle stime di prevalenza e incidenza di malattia. L’ alopecia areata è inoltre spesso associata ad altre malattie autoimmuni che devono quindi essere sempre ricercate. Nella maggior parte dei pazienti, la gravità della malattia è strettamente correlata al disagio psiscologico e la gestione dell’AA dovrebbe includere il supporto psicologico. Il decorso non è prevedibile, poiché è possibile una remissione spontanea, così come un decorso cronico che non risponde alla terapia. Fino al 50% dei pazienti con AA in chiazze può avere una ricrescita spontanea di capelli entro un anno, tuttavia la maggior parte ricadrà mesi o anni dopo la remissione (3).  A causa del decorso variabile e del diverso grado di gravità della caduta dei capelli, nell’AA sono disponibili solo pochi studi clinici e ben progettati che sono limitati al basso numero di pazienti studiati (4). Inoltre, non esiste una cura specifica, ma per il trattamento vengono utilizzati farmaci antinfiammatori e soppressori del sistema immunitario topici e sistemici. Il panorama del trattamento sta subendo una rivoluzione grazie ai trattamenti emergenti, in particolare una nuova classe di farmaci noti come inibitori della Janus chinasi (JAK) (5-7). Non ci sono mezzi per prevedere il decorso della malattia e la gamma della sua gravità. I trattamenti farmacologici per l'alopecia areata non sono stati ben studiati e quindi c'è pochissima ricerca per fornire una guida clinica sulle migliori opzioni terapeutiche. I farmaci immunosoppressori sono associati ad effetti collaterali e non sono disponibili dati "reali" sui trattamenti utilizzati nel contesto dell'alopecia areata. Inoltre, i singoli pazienti rispondono in modo diverso ai trattamenti individuali e molto poco è stato fatto per cercare modi potenziali per prevedere la risposta al trattamento e prescrivere una terapia individualizzata.

Recentemente sono stati pubblicati alcuni articoli su Pubmed (8-10) su International Consensus of Hair Experts per creare un registro incentrato sull'epidemiologia dell'alopecia areata. Un processo eDelphi a 3 round ha inoltre partecipato allo sviluppo di una rete globale di registri di alopecia areata (11), culminato in un incontro faccia a faccia al Congresso Mondiale di Dermatologia, Milano, Italia, il 14 giugno 2019, allo scopo di identificare i domini e gli elementi di dominio, che garantirà un approccio standardizzato per la registrazione dei dati necessari per sorvegliare l'introduzione di nuove terapie e terapie esistenti. Vi è urgenza di un Registro Globale dell'Alopecia Areata, comparabile e riproducibile in tutti i Paesi.

Alopecia permanente da chemioterapia

La raccolta dei dati ha lo scopo di identificare i parametri clinici, dermatoscopici, istopatologici e di microscopia confocale in grado di predire l’insorgenza di un’alopecia permanente da chemioterapici. L’obiettivo primario dello studio è identificare i fattori predittivi in grado di determinare la comparsa di un’alopecia permanente da chemioterapia.

I chemioterapici bersagliano tipicamente le cellule che risiedono nel bulbo, inducendo un anagen o un telogen effluvium, e risparmiano solitamente le cellule staminali del bulge, che hanno il compito di promuovere il ciclo follicolare: per questo motivo, la perdita di capelli da chemioterapia è solitamente un processo completamente reversibile. Nella maggior parte dei casi, il follicolo pilifero riprende il normale ciclo entro poche settimane dal termine del trattamento e la ricrescita diviene visibile già entro 3-6 mesi. L’assenza o l’incompleta ricrescita dei capelli dopo 6 mesi dall’interruzione della chemioterapia definisce un’alopecia permanente. La causa del danno irreversibile sembra risiedere nel danno alle cellule staminali del follicolo pilifero da parte di alcuni chemioterapici. Fattori che possono influenzare il rischio di questo tipo di alopecia includono il metabolismo dei farmaci, l'esposizione del cuoio capelluto all’irraggiamento, l'età avanzata, la presenza di alopecia androgenetica, la chemioterapia precedente o la GVHD nei pazienti che sono stati sottoposti a trapianto di cellule ematopoietiche. L'alopecia permanente dopo chemioterapia è rara, con dati di prevalenza altamente variabili (0,9-43%) e nella maggior parte dei casi è dovuta ad una chemioterapia ad alte dosi (di solito busulfano, ciclofosfamide e thiotepa) come avviene nel trapianto di cellule ematopoietiche, alla chemioterapia a dose standard per il cancro al seno (in particolare con docetaxel a dosi superiori a 75 mg / m2 per ciclo), o anche all'uso a lungo termine di molecole inibitori di EGFR (come gefitinib e erlotinib). Il minoxidil per via locale o sistemica è l’unico farmaco che ha mostrato indurre un miglioramento clinico, sebbene i risultati non siano uguali nei diversi studi.

Alopecia fibrosante frontale

La raccolta dei dati e la loro organizzazione nell’archivio sono finalizzate a valutar eventuali correlazioni tra l’andamento della patologia di base, il trattamento e i sintomi manifestati dal paziente. L’obiettivo primario dello studio è creare un archivio elettronico, inizialmente monocentrico poi multicentrico, della durata di 1 anno, eventualmente rinnovabili, di pazienti con diagnosi di Alopecia frontale fibrosante (AFF) in trattamento o candidati al trattamento specifico per questa malattia nell’ambito del normale percorso assistenziale. L’archivio dell’AFF permetterà innanzitutto di valutare l’incidenza di questa malattia e verificarne l’aumento, che in particolare sembra interessare le donne in età menopausale. Obiettivo secondario potrà inoltre essere la valutazione dell’evoluzione della patologia della AFF nel tempo, la gravità e mettere in rapporto ad altre variabili, quali durata, associazioni con altri segni clinici e con altre malattie. Verranno infine registrati i trattamenti più prescritti comunemente e la loro efficacia e tollerabilità cosi da poter magari fornire linee guida terapeutiche in futuro.

L’alopecia fibrosante frontale (AFF), descritta per la prima volta da Kossard nel 1994, è un’alopecia cicatriziale che interessa selettivamente la regione dell’attaccatura frontotemporale dei capelli, ed è considerata una variante di lichen planopilare. Clinicamente, l’AAF si manifesta con una banda di alopecia cicatriziale localizzata a livello dell’attaccatura frontale, temporale e parietale. La regione occipitale è coinvolta solo raramente. La cute della regione alopecica si distingue dalla cute della fronte per l’assenza di segni di fotoinvecchiamento. Le vene temporali sono spesso molto evidenti a causa dell’atrofia cutanea.  La distanza fra la glabella e attaccatura dei capelli può arrivare fino a 9-10 cm (valori normali: 6-6,5 cm nelle femmine e 8-8,5 cm nei maschi). E’ inoltre caratteristica la scomparsa dei peli del vello e dei peli intermedi a livello della nuova linea dell’attaccatura. I capelli dell’attaccatura mostrano lieve ipercheratosi perifollicolare talvolta associato a eritema. La progressione della malattia è generalmente lenta, ma è scarsa la risposta alle cure. Nel 50-75% dei pazienti, si osserva alopecia completa o parziale delle sopracciglia. Un’alopecia degli arti è frequente e spesso non riportata dal paziente. In alcune pazienti sono state descritte papule del volto, corrispondenti a un infiltrato infiammatorio a carico dei peli del vello. L’istopatologia è simile a quella del lichen planopilare, con infiltrato infiammatorio linfocitario perifollicolare, localizzato a livello dell’istmo, scomparsa delle ghiandole sebacee e fibrosi lamellare perifollicolare, che nell’AFF colpiscono tipicamente i follicoli del vello e intermedi. La tricoscopia mostra assenza di osti follicolari nella banda alopecica. I capelli che delimitano posteriormente l’alopecia mostrano manicotti peripilari ed eritema perifollicolare. E’ frequente anche osservare pili torti e capelli fratturati a varia distanza dall’ostio follicolare. La prevalenza dell’AFF, che interessa più comunemente le donne dopo la menopausa, è in grande aumento in tutto il mondo. Nonostante questo, sono pochi gli studi che ne valutano l’epidemiologia, la patogenesi e i fattori scatenanti/causali. Il fatto che la malattia colpisca quasi esclusivamente il sesso femminile suggerisce che il fattore scatenante possa essere una sostanza chimica utilizzata prevalentemente o esclusivamente dalle donne, ma gli studi finora effettuati non hanno portato risultati evidenti. L’AFF è stata descritte in famiglie, e studi genetici hanno mostrato associazioni con il gene HLA-DR1, similmente a quanto visto in alcuni casi di lichen plano-pilare familiare.

responsabile

TEAM

Andrea Ardizzoni

Professore ordinario

Francesca Bruni

Dottoranda

Assegnista di ricerca

Michele Cavo

Professore ordinario

Enrico Giampieri

Professore associato

Emanuela Marcelli

Professoressa associata

Michela Mazzetti

Professoressa associata

Cosimo Misciali

Professore a contratto a titolo gratuito

Annalisa Patrizi

Professoressa Alma Mater

Paolo Maria Russo

Professore ordinario

Michela Valeria Rita Starace

Ricercatrice a tempo determinato tipo b) (senior)

Claudio Zamagni

Professore a contratto a titolo gratuito per attività professionalizzanti nelle scuole di specializzazione di area sanitaria, ex D.I. 68/2015

Professore a contratto a titolo gratuito

Collaborazioni

Miriam Carpanese, membro del team